Il pane attraverso la Storia
È nell’era di passaggio tra Paleolitico e Neolitico (tra il 10.000 e l’8.000 a.C.) che l’uomo inizia a coltivare cereali (grano, segale, farro). Ne sono testimonianza ritrovamenti archeologici in varie zone dell’Europa occidentale e del Medio Oriente.
Un capitolo decisivo l'hanno scritto gli Egizi, eccellenti agricoltori, i primi veri panettieri che hanno posto le basi affinché il pane potesse conoscere un successo “mondiale”. Ai tempi in cui i Romani ancora si nutrivano di una semplice pappa di farina e i Greci di una specie di sfoglia cotta sul fuoco, gli Egizi già applicavano con quella che sarebbe stata chiamata la
"lievitazione naturale”. Tutto ciò allora era considerato un fenomeno misterioso, dall'origine forse soprannaturale. Come facevano, gli Egizi, a compiere un tal miracolo? Avevano scoperto che per ottenere il "magico" risultato bastava aggiungere all'amalgama di chicchi macinati ed acqua un pezzetto di pasta avanzata il giorno prima, dal sapore un poco acidulo.
Dagli Egizi appresero a panificare anche i Greci, nel cui mondo l'idea del pane era strettamente legata a quella della fecondità della terra(si pensi a Demetra).
I Greci perfezionarono la costruzione dei forni, portando quest'arte ad elevati livelli, e produssero pane in tante ottime specie. Secondo cronisti dell'epoca, già nel periodo classico - cioè tra il VI ed il V sec. a. C. - ce n'erano ben 72 tipi diversi: 50 di impasto semplice e 22 più complessi.
A Roma il pane entrò nell'uso quotidiano soltanto verso la fine del periodo della Repubblica: stando a quanto racconta Plinio, la sua cottura fu introdotta nel 168 a. C., ad opera di alcuni schiavi catturati in Macedonia dopo la sconfitta del re Perseo. Sempre qui sorsero le prime botteghe per lo smercio di pane. All’epoca dell’Impero Romano il pane era l'alimento base per gran parte della popolazione e bisognava assicurarlo a tutti. Per questo, vigeva una specifica legislazione: un editto stabiliva che “il pane di frumento fosse più sano e preferibile alla sorta di polenta (puls) e agli altri impasti di cereali in uso, e che era consentito acquistare frumento in pubblici granai ad un prezzo inferiore a quello di mercato”. Si dice che nell'antica Roma fu dedicato proprio al pane il nome di una via, che ancora oggi porta lo stesso nome di "Panisperna".
Con la caduta dell’Impero Romano, la perfezione raggiunta da quest’ultimi nella produzione di pane fu persa. Nel Medio Evo soltanto i monasteri possedevano panetterie di qualche importanza. Intanto, i signori feudali , imponevano l'uso dei loro forni ai contadini per la produzione “casalinga” del pane.
Nel Rinascimento di nuovo ogni classe sociale aveva a disposizione il suo pane. C’era il pane del Papa e del Re, il pane del cavaliere e quello dello scudiero etc. (Si narra che il boia di Carlo VII (re di Francia dal 1422 al '46') venisse accuratamente evitato dai fornai e quindi stentasse non tanto a guadagnarsi, quanto a procurarsi la proverbiale pagnotta. Il sovrano, allora, mise i fornai di fronte ad una scelta assai poco piacevole: o accettavano il boia come cliente, oppure si candidavano a diventarne clienti. Leggenda vuole che proprio su questo terreno trovi origine la credenza - tuttora viva - che il mettere in tavola il pane capovolto porti sfortuna). Proprio nel Rinascimento si ebbe la vera grande rivoluzione nel campo della panificazione . Nel pane, fino ad allora lievitato naturalmente, fu introdotto il lievito di birra, prodotto dalla complessa lavorazione di lieviti naturali e malto, appunto il principale ingrediente per produrre la birra. Fu grazie a questo lievito e al sempre più massiccio consumo di pane da parte delle classi più agiate che i fornai, nei secoli successivi, diedero libero sfogo alla loro fantasia creativa.
Nel '600, però, su ogni umile pezzo di pane gravava un'infinità di tasse, le più impopolari che siano mai state inventate: dalla "gabella" per la farina al "dazio" per la cottura nei forni di proprietà padronale. Perché stupirsi, dunque, se nel corso delle carestie i sentimenti del popolo affamato che si ribella hanno sempre fortemente contribuito ad indirizzare il corso degli eventi.
Il pane ha avuto ed ha un grande ruolo anche nella storia, perché da sempre la storia del pane s'intreccia inestricabilmente con quella della parte più povera e dolente delle popolazioni. La mancanza di pane (o anche la sola paura di non averne) è un incubo, un incubo che serpeggia costantemente nella storia dell'umanità. Non solo quella più antica, ma anche quella di secoli più vicini a noi. Un esempio è il 120esimo capitolo dei "Promessi sposi" in cui Manzoni tratta con straordinaria efficacia narrativa dell'assalto al forno di Milano durante la carestia del 1628. Tra gli esempi da non dimenticare inoltre la rivolta popolare del 1789 contro Maria Antonietta e il suo Re. Fu poi con la rivoluzione industriale dell'Ottocento che la panificazione "bianca" divenne cibo "comune", e le tante interpretazioni locali della ricetta contribuirono all'affermarsi della Pizza.
Nell’800 non sempre il fornaio compiva l’intero processo produttivo. Era infatti tradizione – durata, in alcuni luoghi anche d’Italia, fino alle soglie della Seconda guerra mondiale – che l’impasto si facesse in casa. La sera la massaia preparava la forma di pane e la metteva, avvolta in un panno, a lievitare nella madia, un apposito mobile con apertura ribaltabile. La mattina si recava al forno per farla cuocere e pagava una piccola cifra al fornaio. Un tempo il pane, più consistente rispetto a quello di oggi, poteva conservarsi per molti giorni, senza indurire troppo. I primi tentativi di meccanizzazione del lavoro del fornaio avvennero già nella seconda metà del Settecento, ma fu solo a metà Ottocento che furono create le prime vere innovazioni tecnologiche.
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